_di Nino Lanzetta, dal Corriere dell’Irpinia del 15.01.2013
I falò o i “focaroni”, come oggi vengono più comunemente denominati, richiamano una tradizione consolidata nei secoli, non solo in Irpinia ma in tutto il territorio nazionale, e si fanno in occasione di diverse festività non solo d’inverno ma anche nei mesi estivi. Di solito, però, si fanno nel periodo di maggior freddo (metà gennaio) e si fanno risalire al culto per Sant’Antonio Abate, quello che nella tradizione popolare si rappresenta accompagnato con il maiale. Sant’Antonio Abate è considerato il protettore del fuoco, forse – come dice la tradizione- per essersi recato perfino nelle fiamme dell’inferno per contendere le anime dei cristiani al diavolo. Dappertutto Sant’Antonio Abate, forse per distinguerlo dall’omonimo Santo di Padova, ma anche per un’antica consuetudine di confidenzialità, ritenendolo un Santo popolare e della povera gente, viene chiamato Sant’Antuono. E’ festeggiato il 17 di gennaio; ed è appunto in tale giorno (ma anche nel giorno della vigilia) che si accendono i focaroni.
Con la festività di Sant’Antuono si dà inizio al carnevale. “Sant’Antuono, maschere e suoni” dice il detto popolare per ricordare l’evento. Dalla domenica successiva, infatti, escono le maschere e si intrecciano canti e balli che durano fino al martedì grasso, ultima giornata di Carnevale e clou delle feste. Il mercoledì successivo comincia la Quaresima e addio maschere e suoni!
E’ tempo di penitenza per la preparazione alla Pasqua. I falò non a caso si fanno nel periodo di maggior freddo, quello durante il quale una volta si ammazzavano i maiali e, non essendoci ancora i frigoriferi, era considerato il tempo migliore per lavorarne la carne, salarla e conservarla in locali lontani dal caldo dei focolari.
Nei “vasci”, come si chiamavano a Castelvetere i locali a pianterreno spesso non pavimentati che, specie d’inverno, erano freddi e asciutti, perciò idonei a conservare frutta ed alimenti ed anche il vino per chi non aveva una cantina attrezzata.
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