Nusco al tramonto

TARANTELLA NUSCANA

“17 MERCOLEDI’ S. ANTONIO ABATE

USANZE DI UN TEMPO

Si festeggia il primo

giorno di carnevale con l’accensione

di grandi fuochi nelle strade.

E la gente passa

la notte in cerchio attorno

al fuoco, mangiando bevendo

e raccontando storie…”

(DA ANIELLO RUSSO, “ANTICO ALMANACCO 1995”, LA GINESTRA, AVELLINO, 1995, P. 11.)

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Borgo_Lanzetta_di Nino Lanzetta, dal Corriere dell’Irpinia del 15.01.2013

I falò o i “focaroni”, come oggi vengono più comunemente denominati, richiamano una tradizione consolidata nei secoli, non solo in Irpinia ma in tutto il territorio nazionale, e si fanno in occasione di diverse festività non solo d’inverno ma anche nei mesi estivi. Di solito, però, si fanno nel periodo di maggior freddo (metà gennaio) e si fanno risalire al culto per Sant’Antonio Abate, quello che nella tradizione popolare si rappresenta accompagnato con il maiale. Sant’Antonio Abate è considerato il protettore del fuoco, forse – come dice la tradizione- per essersi recato perfino nelle fiamme dell’inferno per contendere le anime dei cristiani al diavolo. Dappertutto Sant’Antonio Abate, forse per distinguerlo dall’omonimo Santo di Padova, ma anche per un’antica consuetudine di confidenzialità, ritenendolo un Santo popolare e della povera gente, viene chiamato Sant’Antuono. E’ festeggiato il 17 di gennaio; ed è appunto in tale giorno (ma anche nel giorno della vigilia) che si accendono i focaroni.

Con la festività di Sant’Antuono si dà inizio al carnevale. “Sant’Antuono, maschere e suoni” dice il detto popolare per ricordare l’evento. Dalla domenica successiva, infatti, escono le maschere e si intrecciano canti e balli che durano fino al martedì grasso, ultima giornata di Carnevale e clou delle feste. Il mercoledì successivo comincia la Quaresima e addio maschere e suoni!

E’ tempo di penitenza per la preparazione alla Pasqua. I falò non a caso si fanno nel periodo di maggior freddo, quello durante il quale una volta si ammazzavano i maiali e, non essendoci ancora i frigoriferi, era considerato il tempo migliore per lavorarne la carne, salarla e conservarla in locali lontani dal caldo dei focolari.

Nei “vasci”, come si chiamavano a Castelvetere i locali a pianterreno spesso non pavimentati che, specie d’inverno, erano freddi e asciutti, perciò idonei a conservare frutta ed alimenti ed anche il vino per chi non aveva una cantina attrezzata.

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Locandina 17 gennaio_di Franca Molinaro

È fissato per il 17 gennaio a Castelfranci, il primo appuntamento con “Le Ricorrenze della Grande Madre”, serie di manifestazioni stagionali legata al ciclo della terra e delle tradizioni ideato nell’ambito dei progetti del Dipartimento di Antropologia del CDPS. Castelfranci, piccolo centro irpino, è avviato sulla strada del vino fin dalla costruzione della ferrovia, nel secolo scorso, strada ferrata che permetteva il trasporto delle uve verso il Nord, oggi promuove i suoi prodotti col Castelfranci Wine Festival, una manifestazione di notevole successo. Alla mia proposta di adesione al progetto, il professore Di Napoli è stato entusiasta ed il sindaco ha accettato con entusiasmo. L’intento è quello di riproporre i fuochi rituali, abbandonati da qualche anno e ripresi con successo da altri paesi quali Nusco. Ai fuochi sono legate altre tradizioni che andremo a scoprire grazie all’incontro-studio, è in programma, infatti un appuntamento, alle ore diciassette, nella sala consiliare, in cui ci si confronterà, tra esperti, sulle tradizioni, i simbolismi e le radici storiche dei riti. Interverrà il sindaco Generoso Cresta, il prof. Alessandro Di Napoli referente del progetto per Castelfranci, intellettuale operoso del CDPS, critico letterario attento ad ogni tipo di scrittura, autore su Silarus, rivista letteraria del Centro Sud.  Di Napoli illustrerà le tradizioni del luogo legate a Sant’Antonio Abate e alle “focalenzie”. In paese, spiega il professore, c’era la tradizione di allevare un maialino libero per le strade, ogni persona si sentiva in dovere di cibare la bestiola che girovagava tranquilla senza allontanarsi. Per la festività del santo il maiale ingrassato era sacrificato in dono alle famiglie povere. In altri paesi, quali Sant’Angelo all’Esca, c’era la stessa tradizione con alcune varianti, il maiale era dedicato a San Michele e le sue carni finanziavano la festa del santo.

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